Il costo di un pallore

Per essere giugno, l’aria è ancora fresca, ma profuma di gerani e gelsomini.

Il cielo è limpido. Tra poco albeggerà.

Affacciata alla finestra della mia stanza, fumo una sigaretta. Ogni tanto, dopo una lunga boccata, mi volto verso il mio letto e lo guardo: Enea dorme, in t-shirt e boxer, la bocca semichiusa, i capelli scompigliati, con le lenzuola aggrovigliate sotto il corpo, la mano penzolante fuori dal letto.

La sua mano è la prima cosa che ho visto di lui. Mi ricordo che l’ho odiata subito: era proprio sul libro che avevo scelto di comprare io e che, invece, lui voleva per sé. Nel vedere quella mano grande che si posava sul mio tanto agognato libro, avevo provato una grandissima irritazione anzi, odio profondo per quel ragazzo alto e moro, in piedi vicino a me, davanti al banchetto dei libri, che mi fissava con aria sfrontata e incuriosita.

Ci siamo conosciuti così, al mercatino dei libri usati del Mercoledì, sotto i portici di una città rinascimentale, in una giornata di inizio maggio, per colpa di un’edizione del 1968 de I fratelli Karamazov, svenduta a 6 euro. Alla fine, quando gli avevo fatto presente di aver visto il libro per prima, me lo aveva ceduto. In cambio, però, aveva preteso che gli offrissi un caffè, per curare il suo cuore ferito dalla perdita. Così, in un bar, tra la mia lezione di letteratura italiana del rinascimento e la sua lezione di letteratura russa,  è  cominciata la nostra storia.

Il movimento improvviso e scattante di un geco che passa rapido sul muro di fronte, mi riscuote. Guardo l’orologio: è tardi, sono le cinque e mezzo del mattino. Cavolo, penso, bisogna che vada a letto, la tesi non si scriverà da sola, domattina.

Enea si è svegliato. Mugugna qualcosa e spinge un piede fuori dal letto.

-Che fai lì? – mi chiede stropicciandosi gli occhi e mettendosi a sedere. Io gli mostro la sigaretta, quasi terminata, lui si alza e mi raggiunge alla finestra. Mi abbraccia.

Stretta nel suo abbraccio, sento il suo stomaco brontolare.

– Non dirmi che hai fame! – esclamo sorridendo, sorpresa. Dopotutto, è notte fonda.

– Beh, mi hai fatto bruciare calorie… – ribatte malizioso – e poi sai che, fosse per me, mangerei ininterrottamente!

– Ma sono le cinque e mezzo del mattino! Va bene… vedo cosa mi è rimasto, andiamo in cucina, ma fai piano. Non svegliare le mie coinquiline.

Apro il frigo. Come pensavo, poco e nulla: due yogurt scaduti, dei pomodorini, un vasetto di filetti di acciughe. Il frigo degli studenti fuori sede mette sempre un po’ tristezza, non c’è nulla da fare. Tento la fortuna aprendo la dispensa, ma qui il panorama è ancora più desolante: un barattolino di capperi e le confezioni colorate del risotto pronto spiccano sullo sfondo desolato.

A questo punto, resta solo la pasta. Bingo! Un pacco di spaghetti mi viene in soccorso.

-Ti vanno degli spaghetti alla San Giuannìdde?

Enea mi guarda perplesso. Giustamente, essendo marchigiano, la sua conoscenza delle specialità culinarie baresi è piuttosto limitata. Rido e gli spiego:

– Non è una parolaccia, è un piatto della mia terra. Sono spaghetti con aglio, acciughe, capperi, pomodorini, una spolverata di romano, peperoncino e…un filo di olio extravergine di oliva, pugliese, naturalmente!

Enea appare sollevato, adesso che sa che è qualcosa di commestibile.

– Io adoro la cucina pugliese, anche se la conosco poco. – ammette – Comunque, spaghetti alla Saujuneidda siano!

– San Giuannìdde – lo correggo ridendo. La sua pronuncia del dialetto barese è terrificante.

-Aiutami, dai- gli dico passandogli la padella e mettendo sul fuoco l’acqua per gli spaghetti.

Gli assegno il compito di mettere a soffriggere olio, aglio e peperoncino e poi di aggiungere i filetti di acciughe, mentre io taglio i pomodori. Mi guarda perplesso e sorride timidamente. Ovviamente, non sa cucinare. Rido.

– Capisco, è troppo complesso, per te! Allora tu taglia i pomodori e io faccio il resto. L’acqua per la pasta sta quasi bollendo.

La sua faccia mentre mangia gli spaghetti è comicissima e farebbe venir fame a chiunque. Fosse per lui, non riprenderebbe mai fiato e ingurgiterebbe un boccone dietro l’altro, stile Totò. Si capisce benissimo che si sforza di darsi un contegno.

– Sono buonissimi! – esclama dopo aver ingoiato avidamente un’altra forchettata.

– Benvenuto in Puglia! Questo profumo e questo sapore, per me, sanno di casa.

Mi chiede chi mi ha insegnato a cucinare questo piatto. È curioso, vuole sapere tutto della mia terra, della mia famiglia. Allora gli racconto di quando, da bambina, uscita da scuola, andavo a pranzo dalla nonna e lei, ogni venerdì, mi cucinava questo piatto di spaghetti.

-Mangiavo poco da bambina – gli confesso – mia madre era disperata. C’erano pochissime cose che mi piacevano, tra queste c’era questo piatto.  Lo adoravo. Riuscivo a finire persino due piatti interi! Poi, come lo faceva mia nonna…era spettacolare!

Che nostalgia. Improvvisamente, mi torna in mente quel periodo, la casa della nonna, il balcone della cucina, dal quale si vedeva il mare. Il profumo e i vari sapori della sua cucina, il suo grembiule a fiorellini rossi e blu. Il suo sorriso. Mi scappa un sospiro.

Enea deve aver capito cosa provo. Posa la forchetta nel piatto ormai vuoto. Cerca il mio sguardo, mi mette un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e mi accarezza una guancia.

Timidamente sussurra: – Mi piacerebbe vedere la tua terra e conoscere la tua famiglia. Quest’estate posso venire a trovarti in Puglia?

Se l’avesse detto in modo diverso, con l’incertezza negli occhi o in modo forzato, avrei certamente ignorato la domanda e cambiato discorso. Dopotutto, ci frequentiamo solo da un mese. Ma il suo sguardo è cristallino, sincero e carico di curiosità e non mi intimorisce. Capisco che lo dice senza malizia e con consapevolezza: non vuole ingannarmi, vuole davvero fare questo passo.

– Ok – sussurro.

Cala un lungo silenzio. Non uno di quelli imbarazzati, ma complici. Dalla finestra della cucina, filtra la luce soffusa dell’alba.

Ad un tratto realizzo: – Ma oggi è sabato!

Enea non capisce quale sia il problema.

-Il sabato c’è il mercato, Enea. Tu hai parcheggiato proprio lì! E se non sposti l’auto entro dieci minuti te la portano via!

È un attimo e lui realizza che questo meraviglioso piatto di spaghetti made in Puglia gli costerà una multa salata o la rimozione dell’auto, se non corre. Tra le labbra, mormora una bestemmia.

Si precipita in camera, afferra le chiavi, mi bacia frettolosamente e si lancia fuori dal portone.

Dopo una mezz’oretta mi chiama. Si scusa per essere scappato via in quel modo.

– Tranquillo – mormoro assonnata, adesso la nottata in bianco comincia a farsi sentire.

– Piuttosto, – continuo – alla fine la macchina l’hai trovata?

– Sono arrivato appena in tempo! C’era il poliziotto già pronto a farmi rimuovere il veicolo, ma me la sono cavata con una multa, solo perché uno dei venditori del mercato, che stava montando il suo banco, è intervenuto facendo cambiare idea al poliziotto!

– Cosa gli ha detto? –  domando, curiosa.

– Di essere buono e non farmela rimuovere. Scherzando gli ho detto che dal mio “sano” pallore si vedeva che avevo passato una bella notte in bianco e…in dolce compagnia!

Rido.

– Cavolo, però mi dispiace per la multa. Dovevamo pensarci prima…

– Non fa niente. Ho fatto una corsa matta ed è stato il piatto di spaghetti più caro della mia vita, ma lo rifarei mille volte ancora. Ne è valsa la pena- sussurra.

E dal mio cuore, scompare la nostalgia e ho di nuovo la sensazione di essere a casa.

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