Il primo piatto di pasta non si scorda mai

Ho fatto le prove con il cuscino. Ho lasciato le mie labbra sullo specchio. Era freddo e appannato e mi sono spiato, prima con un occhio, poi con l’altro. Gli occhi dovrò tenerli aperti? E le mani dove le metto? È che quando mi guarda con quegli occhi così grandi, sento il battito del cuore nelle orecchie. Non capisco più niente. E dopo cosa si fa? Si parla?

 

“Ale? Ne hai ancora per molto in bagno?!”

“Scusami pà è tutto tuo”. Lo guardo e gli sorrido.

“Fammi sapere quando arrivate ok?”

“Certo pà”

 

Assaggio il sugo e lo aggiusto di sale. Quanto basta. Quanto basta per tornare a ricordare quella pasquetta indimenticabile che non si sa perché mi sia tornata in mente proprio oggi. Sarà la pasta al forno, sarà che mi è passata davanti nei probabili amici di facebook: ma che tenerezza.

 

Il primo bacio, le paure, il sapore, il sole della mia terra.

Pasquetta a Siponto, a casa di Claudio. Eravamo una ventina, partiti tutti come zombie alle 6.30 di mattina, con un regionale pieno di speranze, invicta fluo, super santos, la mia chitarra e un borsone più grande e pesante che portavamo in due. Io e Claudio.

 

Lei era bellissima, manco a dirlo. Un outfit inappuntabile per ogni occasione e gli occhi grandi, laghi gemelli. Il treno stentava a prendere velocità lungo i binari, io sfoderavo il mio sorriso e la mia chitarra. Il viaggio sarebbe durato poco, ma era meglio cominciare subito. Avevo un obiettivo, chiaro, preciso, a ore 12 davanti a me. Oltre le prove allo specchio e sul cuscino, venivo fuori da una settimana di allenamento serio sul giro di do e arpeggi vari. Che quando sei l’unico che suona la chitarra le persone ti vedono come un jukebox. Dai suona. Suona cosa? E allora prima ti prepari una scaletta per coprire almeno due ore di live. Avevo passato sere intere a scegliere l’ordine di uscita delle canzoni, studiando un crescendo di emozioni. Parto con un leggero Battisti, cresco con Liga, poi Nessun rimpianto che so che le piace e poi ad un certo punto si spera di lasciare la chitarra a Giuliano. Si spera di passare dalle corde rigide ai suoi capelli morbidi. Ecco dove avrei voluto tenere le mani.

La mattina viaggiava tranquilla, passavamo dalla spiaggia alla pineta, ombra e sole e mare. Sembrava estate. Io e Claudio fummo i primi ad aprire le porte di casa. Chissà quanto si sente sola una casa del mare. Ascoltare le onde e non poterle guardare, sentire il vento e non poter aprire gli occhi. Aprimmo noi tutte le finestre, ci accertammo del gas nella bombola, l’unica cosa che non avevamo messo nel borsone. Per il resto avevamo tutto.

Due pacchi di rigatoni da un chilo, passata di pomodoro, olio, aglio, cipolla, scamorza affumicata, sale. Tutto disposto sul tavolo. Eravamo davanti al nostro primo piatto di pasta al forno. Fino a quel giorno, l’avevo solo vista fare a mamma e a nonna. Claudio neanche quello. Si fidava di me.

Seleziono 200° gradi sul mio forno touch e preparo la teglia. Oggi ho il frigorifero pieno di cose, una cucina di design, lo smartphone che saltella di notifiche e una cappa che s’impossessa di tutto l’odore. La chitarra appesa è un po’ come le mie scarpe da calcio, appese al chiodo. Ho studiato tutto il possibile sul mondo della pasta, ho giocato con le sue forme e con i nomi dei formati, ho passato ore in corsia al supermercato per capire quale pack fosse più attraente. Faccio il copywriter, amo le parole ed è per questo che ne sono rimasto senza pochissime volte.

“Ti posso aiutare?” Occhi grandi sta parlando proprio con me

“Mi controlli il sugo per favore?” Nonchalance/sorriso/nonchalance/sorriso

“Aggiungo un po’ di sale. Ok?”

Avrebbe potuto dirmi tutto. Aggiungici quello che vuoi, raggiungimi appena puoi, Claudio dove sei?, sento il battito nelle orecchie, nonchalance mentre taglio la scamorza affumicata.

“Scusami il tempo di cottura?” Occhi grandi sta ancora parlando con me. Io te la faccio la battuta, questo è un assist che neanche in un contropiede di Zeman. “È scaduto da quando ti ho visto la prima volta a scuola”.

Silenzio. Cinque secondi che non hanno voglia di passare.
L’avevo sparata grossa, senza prove allo specchio, solo io davanti ai suoi occhi.

Sorride e da lì in poi non parliamo più per un po’. Concludiamo la preparazione della pasta al forno. I nostri gesti sono perfettamente sincronizzati, io scolo la pasta, lei versa il sugo, io la scamorza, lei aggiunge un filo d’olio. Il forno è già caldo, rischio il dramma nell’infornare la teglia che si era fatta più pesante dei miei pensieri.

Mi volto e vedo lei che armeggia con la radio multifunzione di Claudio, inserisce una cassetta e schiaccia play. Le notti non finiscono all’alba nella via, le porto a casa insieme a me, ne faccio melodia. Chiude la porta della cucina.

Ore di prove allo specchio, di cuscini sgualciti, di occhi socchiusi e poi è lei a fare tutto. Il primo bacio lo immaginavo impacciato e invece è vero, maturo e sarebbe potuto durare fino alla prossima pasquetta. Il timer del forno ci risveglia e ci ritroviamo occhi negli occhi. E non serve a niente parlare.

Ora sono a chilometri, e ad anni, di distanza da quel primo bacio, dalla mia prima pasta al forno e dalla mia Puglia. Cerco la sua foto profilo, gli occhi sono sempre grandi, foto al mio piatto di pasta al forno e invia messaggio -> “Scusami il tempo di cottura?” Emoticon bacio.

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