Lo zaino con i taralli

Sono ritornato qui dopo quasi 20 anni. Questa volta per lavoro, per una mia scelta. Avevo letto questo annuncio online: “Cercasi cuoco per il periodo estivo. Richiesti almeno due anni di esperienza e ottima conoscenza della lingua inglese. Disponibilità di alloggio presso struttura a Stamsund”.

Stamsund io la conoscevo, è un piccolo paesino delle Isole Lofoten in Norvegia, ed era proprio il paese dove avevo dormito con i miei compagni di interrail la bellezza di 20 anni fa. A Stamsund non ci sono molti alloggi e incuriosito dall’annuncio risposi con una mail chiedendo dove si alloggiasse oltre alle solite domande relative alla mia eventuale collaborazione.

Dopo qualche giorno ricevetti la mail dal ristorante con queste parole come oggetto: “Stamsund Hostel”. Era l’ostello di Roar, il pescatore che gestisce la struttura da una vita e che ci ospitò 20 anni fa. Non è un gran periodo lavorativo questo in Italia, cinque mesi non sono un’infinità, la paga è ottima ed è un’esperienza che mi servirà. Le Lofoten sono un posto ideale per riflettere sulla vita, per guardarti dentro e capirti. Ho bisogno di questo, devo capire un po’ di cose sulla mia vita.

Non ci vivrei però. Le Lofoten sono un posto stupendo, dove entri in contatto con la natura come forse mai mi è capitato da altre parti, ma non è il posto in cui potrei vivere per sempre. Mi piace un sacco sedermi sul pontile e aspettare i pescatori che tornano dal mare. Adoro parlare con Roar dei massimi sistemi e fare con lui interminabili camminate tra la natura incontaminata di questi posti. E poi quella luce al tramonto che si specchia nel mare, quel rosso riflesso nell’acqua. Autentica magia certo, ma la Puglia è un’altra cosa.

Sono passati appena tre mesi e mi manca troppo la mia terra, sono qui a fumare fuori dalla mia camera prima di docciarmi e prepararmi per andare a lavoro e penso al mio mare, ai miei ulivi, alla mia confusione, alle nostre abitudini. Mi manca.

Per fortuna qui da Roar ne passa di gente e l’estate è un periodo florido per il turismo delle Lofoten. L’ostello di Roar in più ha una caratteristica particolare, è un passaggio obbligato per i giovani che viaggiano in treno per l’Europa. Arrivano ogni settimana ragazzi da tutta l’Europa in cerca di alloggio e anche per conoscere il burbero ma mitologico pescatore Roar che gestisce l’ostello di Stamsund.

Ecco che ora ne arriva un gruppo. La scena è più o meno sempre questa: il pullman si ferma sulla strada scendono due, tre o quattro ragazzi al massimo, prendono i loro zaini dal vano bagagli, controllano la guida e si avviano verso l’ingresso. La cosa che più mi fa ridere sono quegli zainoni enormi e subito penso al mio zaino di 20 anni fa organizzato sapientemente per sopravvivere 20 giorni lontano da mamma e papà: poche magliette ben arrotolate, pantaloncini, un paio di jeans, due felpe, biancheria varia, un giubbotto più pesante perché qui può far freddo, scatolette di tonno, carne in scatola, caffè, caffettiera, pentolini, posate. Si, tutto nello zaino che a corredo aveva anche un sacco a pelo, il tappetino e una tenda da portare a turno con i compagni di viaggio.

Questi mi sembrano italiani, li riconosci, li senti. Anzi questi mi sembrano proprio pugliesi. Si fermano sul pontile si alleggeriscono della zavorra dello zaino stremati da un viaggio parecchio lungo e mandano il loro rappresentante a ragionare con Roar. Gli altri tre si siedono sulle panche fuori. Uno di loro ha uno zaino più piccolo e lo apre. Lo osservo e vedo che dallo zaino esce una busta trasparente. Mi si illuminano gli occhi, potrei riconoscere quella busta ad occhi chiusi. Lui la apre, si avvicinano gli altri due e iniziano a turno a mettere la mano nella busta e a prendere dalla busta dei taralli. Amo i taralli, a casa mia in Puglia ne ho sempre una scorta con me, li divoro. Sono tre mesi che non tocco un tarallo e quella busta per me è come un miraggio nel deserto. Decido di avvicinarmi, li sento parlare e ho la certezza che siano delle mie parti. Sfacciato dico: “Ragazzi ho bisogno di taralli per favore aiutatemi!”, si girano straniti da una voce familiare e dalla richiesta particolare. I nostri sguardi si incrociano e scoppiamo tutti a ridere dopo pochi secondi. Il ragazzo con la busta mi allunga i taralli, metto la mano all’interno e frugo prendendone quattro. Mi godo ognuno di quei quattro taralli attimo dopo attimo. Estasi allo stato puro.

A quel punto esce Roar con l’altro ragazzo e ci guardano. Roar non capisce e non ha la minima idea di cosa possa essere un tarallo. Gliene do uno, lo assaggia, lo mastica e esclama in inglese: “Non so cosa tu mi abbia fatto assaggiare ma è una meraviglia”. Io rispondo: “Roar questa è la Puglia”.

Una volta sistemati nella loro stanza vado a bussare alla loro porta e chiedo: “Ragazzi è una domanda retorica perché so come funziona in interrail, quindi vi chiedo se stasera vi va di venire al mio ristorante. Offro io, devo sdebitarmi per il piccolo momento di piacere provato con i taralli”. Hanno accettato, come era ovvio che fosse. Ho cucinato la pasta, volevo farli sentire a casa loro, un attimo di Puglia al circolo polare artico.

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